LA DANZA DEI SETTE SALTI (di Giorgio Inaudi)

Sette passi carichi di significato

Sette, si sa, è un numero speciale e carico di significati particolari, nelle cose sacre come in quelle profane, un numero misterioso e forse anche un po’ magico. Un po’ di magia e un po’ di mistero ci sono sempre nella danza e quindi non c’è da stupirsi se di “Danza dei Sette Salti”, se ne incontra più d’una nelle diverse regioni europee.

E’ appena il caso di dire che nei vari posti ognuno è convinto che soltanto la sua è la vera, anzi l’unica versione autentica ed originale di questo ballo.

In realtà, pur senza poter escludere contatti in un remoto passato, è più probabile che si tratti di danze completamente estranee le une alle altre, cui è ormai difficile attribuire un significato preciso.

Ovviamente si tratta sempre di balli che prevedono sette successivi passi cui vengono attribuiti contenuti simbolici variamente interpretati.

Soltanto in certi casi si tratta propriamente di salti, mentre più spesso sono semplicemente figure o movimenti che i danzatori eseguono, qualche volta da soli ma più spesso a coppie.

Sull’origine dei vari tipi di danza dei sette salti occorre essere molto prudenti, perchè le informazioni sono scarse, vaghe e talvolta poco affidabili.

Spesso si tratta senz’altro di balli interamente inventati, ad uso dei numerosi gruppi folcloristici sorti nel secondo dopoguerra.

In altri casi vi sono elementi sufficienti per poter parlare di danze “autenticamente tradizionali”, ma bisogna comunque fare chiarezza tra i ricordi spesso sbiaditi delle generazioni precedenti.

Anche la pretesa “antichità” di queste danze non risale, di solito, al di là degli ultimi decenni del secolo scorso.

E’ questo il periodo in cui la maggior parte dei balli cosiddetti “tradizionali” si sono cristallizzati nelle forme attuali, sia pure attraverso la modificazione di balli molto più antichi.

Per citarne soltanto alcune, esiste una danza “dei Sette Salti” nella tradizione dei Valloni (nel Belgio di lingua francese) ed un’altra tipica invece dei Paesi Baschi.

Quest’ultima viene eseguita di frequente dai gruppi, sempre più numerosi, che coltivano -anche fuori delle valli- la musica e la danza della tradizione occitana.

E’ un ballo che si esegue individualmente, nel quale i ballerini, allineati, avanzano ed indietreggiano secondo la scansione musicale, per poi fermarsi ed oscillare tra il tacco e la punta del piede. Prima una volta, poi due, poi tre, fino a sette.

Nelle valli di Lanzo i sette salti sono invece associati alla courenda, il più tipico ballo a coppie in uso nelle valli alpine piemontesi.

La courenda risale, come la giga, la bourrée ed altre danze ancora in uso nelle valli occitane, ai balli di corte dei secoli XVI e XVII, rimasti nella tradizione popolare e sopravvissuti alle nuove mode in aree particolarmente conservative.

 

LA COURENDA TRADIZIONALE A BALME (di Giorgio Inaudi)

Ricerche sulle tradizioni di Balme...

La courenda tradizionale a Balme si compone di due movimenti, la loùndji e la frisà.

La prima, detta anche passeggiata, era ballata, più anticamente, con i due ballerini posti uno di fronte all’altro, tenendosi per gli avambracci, il cavaliere con le braccia all’esterno di quelle della dama.

Il passo è quello della bourrée a tre tempi.

In tempi più recenti, questo movimento è stato sostituito da un passo di polca, cioè tenendosi per i fianchi e per le braccia e girando.

Alla loùndji fa seguito la frisà, che si ripete due volte.

Questo movimento si compone di due parti: dapprima i due si prendono per le mani, con le braccia tese e battono leggermente i piedi seguendo la musica, quindi girano in senso orario, tenendo la gamba interna rigida e facendo ruotare quella esterna.

La courenda di Balme si differenzia da quella degli altri paesi della valle per essere eseguita in modo molto più lento, composto e cadenzato, senza saltare e senza agitare le braccia. Alcuni affermano che questo modo di ballarla era reso necessario dal fatto che la gente ballava con gli zoccoli e non voleva rischiare di perderli durante il ballo.

Sembra tuttavia che anche altrove, per esempio in valle Varaita, un modo di ballare più composto e misurato fosse proprio dei paesi dell’alta valle rispetto a quelli più vicini alla pianura, evidentemente più aperti a mode nuove venute dal di fuori.

Accanto alla courenda tradizionale, a Balme, ancor oggi viene eseguita in occasione delle feste, una danza tipica che è divenuta nel tempo uno dei simboli più sentiti della cultura locale, la “courenda dii set sàout”. Essa si compone del “brandou” e di una courenda figurata.

Lou Bràndou

Il brandou è forse la più antica delle danze che vengono ancora eseguite nelle nostre valli.

Il nome risale certamente al ‘600 e doveva essere, in origine, un ballo vero e proprio.

In tempi più recenti è divenuto una musica di marcia, lenta e cadenzata, che si ritrova in forma diversa nei vari paesi della valle e che accompagna, durante il carnevale, l’ingresso delle maschere nel ballo.

A Balme esso viene eseguito prima della courenda dei sette salti vera e propria.

Esiste un schema ben preciso: i ballerini si dispongono in fila, a coppie. Il cavaliere tiene il braccio sinistro disteso, mentre con la destra regge la mano della dama, che a sua volta tiene la destra sul fianco.

 La prima coppia (secondo la tradizione si tratta dei Priori) esegue da sola un giro completo della sala camminando a tempo di musica, mentre gli altri attendono immobili. Giunta davanti alla fila la coppia si inchina, quindi si pone in coda alla colonna che si mette in movimento, sempre marciando a ritmo di musica, per fermarsi poi allineata quando la musica finisce.

La courenda dii set sàout

Al termine del brando, cavalieri e dame, disposti in due file allineate una di fronte all’altra, attendono immobili durante le battute della loùndji.

Al termine, nella breve pausa prima che incominci la frisà, i cavalieri -cercando di muoversi tutti insieme- fanno un leggero inchino alle dame.

Subito dopo, al tempo di musica della frisà, dame e cavalieri avanzano di un passo e uniscono la sinistra, poi retrocedono, avanzano di nuovo e uniscono questa volta la destra, poi di nuovo la sinistra, poi ancora la destra.

Al termine di questo movimento, dame e cavalieri, sempre allineati, si trovano uno di

fronte all’altra, tenendosi con la destra. Alle note della musica, si esegue il primo “salto”: il cavaliere si piega sul ginocchio destro e la dama, a specchio, su quello sinistro.

Quindi si alzano e iniziano la loùndji.

Questa viene eseguita nella sua forma più antica: dama e cavaliere si tengono per gli avambracci, quelli dell’uomo all’esterno.

La coppia viene guidata dal cavaliere che avanza a piccoli passi, avanzando ed accostando i piedi (quello che in certe danze si chiama il “mezzo passo”, o “passo della bourrée a tre tempi”).

Durante questo movimento viene rotto l’allineamento e le coppie tendono a disporsi in cerchio, con le dame al centro.

Al termine della loùndji, cavalieri e dame si ritrovano di fronte e ricominciano i passi gia

eseguiti.

Ma questa volta i “salti” sono due: le coppie si piegano prima su un ginocchio e poi

anche sull’altro.

Al terzo movimento, i “salti” diventano tre: la coppia, in ginocchio uno di fronte all’altro,

tenendosi per la sinistra (del cavaliere), poggia a terra la mano destra (del cavaliere).

Al quarto “salto” si fa lo stesso con l’altra mano, poi è la volta di un gomito, poi

dell’altro.

Si giunge così al settimo “salto”, che era, in origine, niente meno che una capriola che i due facevano uno in un senso e l’altra in un altro.

In tempi più recenti questo passo -certamente piuttosto impegnativo- fu sostituito con un semplice bacio sulle due guance.

Dopo questo momento saliente, la danza si chiude con una courenda tradizionale, di cui

vengono eseguiti, come d’uso, la loùndji e la frisà.

La vivacità di quest’ultimo tempo contrasta assai con lo sviluppo lento e solenne della danza dei sette salti, soprattutto se questa viene eseguita nel modo più corretto (cosa certamente non facile).

La viva impressione che ha sempre suscitato la courenda dei sette salti di Balme si deve

proprio a questo particolare modo di ballarla, misurato e quasi ieratico, così diverso dalla maniera di ballare allegra e briosa degli altri paesi della valle.

Una danza atipica, che è certamente insolito trovare nella tipologia spesso stereotipa dei balli tradizionali valligiani.

 

Un'origine remota nel tempo

Assistendo per la prima volta ad una esecuzione della courenda dei sette salti, molti chiedono quale sia l’origine e il significato di questa danza.

E’ questo uno dei pochi casi in cui siamo in grado di dare una risposta precisa: le testimonianze della courenda dei sette salti di Balme sono infatti ben documentate e trovano conferma nella tradizione concorde degli anziani, permettendoci di risalire con con certezza almeno alla metà del secolo scorso.

La courenda dei sette salti simboleggia, in modo assai evidente, una cerimonia di corteggiamento e pare che in un remoto passato fosse eseguita soltanto da coppie che

erano tali anche nella vita.

Questo ballo aveva il suo posto preciso in tutto un complesso di riti e di abitudini fortemente simbolici che caratterizzavano rigidamente i “momenti di passaggio” nella vita delle persone, in una comunità molto piccola e quasi completamente isolata dal mondo esterno.

Nascita, adolescenza, fidanzamento, matrimonio, morte: erano i momenti salienti di un ciclo ininterrotto, che imponeva atteggiamenti e comportamenti scanditi in modo vincolante dalla tradizione.

Anche la danza, attività fortemente simbolica, non si sottraeva a questo vincolo: come vi erano le danze trasgressive (si pensi al carnevale) così vi erano quelle rituali.

Quanto al modo in cui questo ballo è giunto fino a noi, la storia che viene raccontata è abbastanza singolare.

All’inizio degli anni Venti, venne costituito a Balme quello che oggi si chiamerebbe un gruppo folcloristico e, all’epoca, veniva definito un gruppo popolaresco.

E’ un momento fortunato per il paese, frequentato da villeggianti illustri, da intellettuali ed artisti, da musicisti, da gente di spettacolo.

Un clima culturale vivace che condiziona favorevolmente il momento - sempre delicato- in cui le tradizioni si cristallizzano in folclore.

Sono gli anni in cui si definisce anche quello che diventerà il costume tradizionale, scegliendo con cura e con gusto gli elementi più caratteristici dell’abito quotidiano.

La stessa banda musicale, che prima suonava, come tutte le bande, indossando una divisa di tipo militare, incomincia ad esibirsi indossando la màilli dou bord.

Ma non è alla banda che si rivolge il gruppo popolaresco.

Il fragore degli ottoni non si addice al modo delicato di ballare la courenda di Balme.

I Balmesi di allora danno prova di una sensibilità culturale, ancor oggi rara e addirittura sorprendente a distanza di quasi ottanta anni.

Invece di inventare o di recepire semplicemente le novità del momento, preferiscono fare ricorso ai ricordi delle generazioni precedenti.

Balme, già al principio del secolo, malgrado lo sviluppo turistico, è un luogo estremamente conservativo, dove gli usi ed i costumi della tradizione sono tenacemente conservati.

Non mancano quindi gli anziani capaci di insegnare ai giovani le danze che erano in uso

mezzo secolo prima.

I ricordi più vivaci vengono da una anziana coppia senza figli, Giovanni Castagneri, detto Gian Gianoùn (1860-1948) e M. Luigia Castagneri -Sac, detta Luisa (1862-1955).

Malgrado siano ormai ben oltre la sessantina, i due non solo insegnano ai giovani il modo di ballare, ma danno addirittura l’esempio.

Fonti degne di fede ricordano che fecero anche la capriola, come d’uso e che Luisa insegnò alle ragazze a pizzicare il vestito tra le ginocchia, per non scoprire le gambe.

Presso il Caffé Nazionale di Balme si può ancor oggi vedere una bella foto di questa simpatica coppia di eterni fidanzati, che non convolarono mai a giuste nozze ma che si fecero buona compagnia durante una serena e lunghissima vita.

La courenda dei sette salti oggi

Grazie ai ricordi e all’esempio di Gian Gianùn e di Luisa una danza ormai quasi dimenticata veniva salvata in extremis e di nuovo introdotta nell’uso.

Essa divenne uno dei simboli della cultura balmese, insieme al caratteristico costume tradizionale ed alle musiche tradizionali eseguite esclusivamente con strumenti a corda, violino e chitarra.

Per decenni essa venne eseguita dai gruppi di Balmesi in costume che partecipavano a feste e raduni, non soltanto in valle, ma anche a Torino ed a Roma.

Soltanto nel secondo dopoguerra questa tradizione iniziò a decadere, a causa soprattutto del grave declino demografico che veniva a colpire il nostro villaggio, dissanguato dall’emigrazione.

La courenda dei sette salti fu ballata per l’ultima volta nel dicembre 1974, nella sala delle feste dell’Hotel Camussòt, in occasione dei festeggiamenti per il centenario dell’alpinismo invernale italiano.

Fu quella l’occasione in cui il Maestro Quintino Castagneri riuscì -miracolosamente- a salvare il patrimonio musicale di Balme, destinato altrimenti ad andare perduto.

Suonando egli stesso i vari strumenti e sovrapponendo le registrazioni, egli ricostruì -da solo- non soltanto il brando e la courenda dei sette salti ma anche una lunga serie di altri pezzi, di grande interesse e originalità.

Dopo un intervallo durato oltre venti anni, negli ultimi tempi la courenda dei sette salti è tornata a rivivere, grazie alla buona volontà di un gruppo di appassionati.

La danza è stata ricostruita grazie ad un ricca collezione di foto d’epoca, ma soprattutto per merito del tenace attaccamento alla tradizione di alcuni Balmesi che hanno voluto trasmettere ai giovani i propri ricordi.

Tra questi vogliamo ringraziare soprattutto un buon manipolo di Castagneri, come Rita e Nicola, Marianetta, Francesca, Mariannina, Beppe ed altri ancora.

E rivolgiamo anche un grato pensiero a quelli che purtroppo se ne sono già andati, come Mimì, come Titìn Barbounnàt, come Nini Barakìn.

Parecchi di quelli che oggi ballano la courenda dei sette salti sono giovanissimi e ci piace pensare che qualcuno di loro, magari tra mezzo secolo, saprà ripetere l’exploit di Gian Gianoùn e di Luisa.